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Incendio OVH, cosa c’è da imparare dal disastro di Strasburgo

Il disastro causato dall’incendio al datacenter dell’OVH a Strasburgo ha provocato disservizi e gravi perdite a migliaia di aziende ed enti pubblici in tutta Europa.

Un incidente dalle proporzioni enormi che diventa una “lezione” sull’importanza della business continuity e della disaster recovery. È quello che stanno apprendendo in questi giorni migliaia di aziende ed enti pubblici paralizzate dall’incendio avvenuto a Strasburgo al datacenter dell’OVH, multinazionale francese nella gestione dei servizi cloud. OVH possiede 250 mila server sparsi in tutta Europa e offre i suoi servizi a 17 Paesi, Italia compresa, contando oltre 1,5 milioni di clienti in tutto il mondo.

Nella notte del 10 marzo scorso, un incendio è divampato all’interno di una stanza del datacenter SBG2, uno dei quattro presenti nel campus di Strasburgo. Le fiamme hanno distrutto l’intero edificio e danneggiato parzialmente gli altri tre datacenter, finché l’arrivo dei vigili del fuoco ha permesso di contenere e spegnere il rogo. Octave Klaba, CEO di OVH ha dichiarato che “SBG1 e SBG4 saranno riaperti entro lunedì 15 marzo, mentre SGB3 sarà riaperto entro venerdì 19”. Tuttavia, centinaia di migliaia di siti sono diventati temporaneamente irraggiungibili.

In un momento storico, in cui le principali minacce sembrano provenire dal Cyber Crime, un “comunissimo” incendio ha causato gravi danni ed ingenti perdite economiche. Gabriele Faggioli, CEO di P4I, ha ricordato che “sono cose che possono succedere, e proprio per questo i clienti devono chiedere che contrattualmente siano garantite tutte le misure atte ad affrontare incidenti di questa natura con misure tanto più stringenti quanto più un cliente necessita, per il proprio business, di servizi stabili e senza interruzioni”. 

Ecco perché l’adozione di misure di sicurezza come la disaster recovery e il back up assumono rilevanza estrema per poter garantire il ripristino dei servizi fino a quel momento erogati e tutelare i diritti di milioni di soggetti coinvolti. “In questo contesto” continua Faggioli “particolare importanza assume anche la proposta dell’ENISA per l’adozione di uno schema di certificazione europeo per i Cloud Service Provider che mira a valutare il livello effettivo di sicurezza dei servizi cloud offerti e ad aumentare la trasparenza delle informazioni a beneficio degli utilizzatori finali”. Se c’è una cosa da imparare da questo disastro, è che non è possibile sottovalutare nessuna tipologia di rischio e di pianificare a monte le strategie necessarie perché episodi di questo tipo non si ripetano più, ma si possono mitigare fortemente.

Immagine presa da “Il Fatto Quotidiano”.